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Come arrivare a Miglionico
Miglionico si trova nella parte orientale della Basilicata in provincia di Matera. E' su una collina tra i fiumi Bradano e Basento a 465 metri sul livello del mare. Il clima è mite: l'estate è assolata e l'inverno per niente rigido. Se venite da Potenza o Taranto per la Statale 407 Basentana diretti a Matera, prima di arrivare alla città dei Sassi, passerete per lo svincolo per Miglionico. Alzate lo sguardo, il Castello del Malconsiglio, il secondo castello più antico della Basilicata, domina il panorama dalla collina. Venite a visitarci, saremo lieti di ospitarvi.
Mappa
Itinerario centro storico
Ettore Fieramosca Conte di Miglionico
Ettore Fieramosca nacque a Capua 1476 (?) e morì a Valladolid (Spagna) nel 1515.Nel 1492 entra al servizio della corte aragonese come paggio e vive con uno stipendio mensile di 10 ducati. Ancora giovanissimo, nel 1494, riceve il comando di un contingente di balestrieri a cavallo con la quale combatté, per Ferdinando II, contro Carlo III. Ettore seguì Ferdinando II anche nell'esilio e fu al suo fianco durante l'assedio di Gaeta; nel 1497 era nelle Marche. Combatté a Fermo dove, con il fratello Guido, difese eroicamente il castello di Offida minacciato da Oliverotto da Fermo. Era il 1498 quando riceve in feudo, dal re di Napoli, il castello di Caspoli. Nello stesso anno ritorna a combattere i fermani per conto del signore di Ascoli Piceno Astolfo Guiderocchi. Nell'occasione viene accolto con tutti gli onori a Ripatransone. Nel 1501 si distingue nell'azione offensiva al castello di Calvi dove si sono asserragliati dei nemici. Poi, passato alla difesa di Capua agli ordini di Fabrizio Colonna, alla caduta della città, viene catturato. I francesi gli sequestrano la rendita della gabella nuova di Capua ed i feudi di Rocca d'Evandro e di Camino. Nell'anno successivo Fieramosca contrasta i francesi in Puglia tra Andria, Trani e Barletta agli ordini di Prospero e Fabrizio Colonna e combatte nella battaglia di Cerignola al fianco di Andrea da Capua. Agli inizi del 1503, mentre si trovava tra gli assediati nella città di Barletta, partecipò al famoso duello tra cavalieri italiani e francesi passato alla storia coma la Disfida di Barletta. I tredici cavalieri italiani erano: Ettore Fieramosca da Capua, Giovanni Capaccio con Giovanni Brancaleone ed Ettore Giovenale da Roma, Marco Carellario di Napoli, Mariano da Sarni, Romanello da Forlì, Ludovico Aminale da Terni, Francesco Salamone e Guglielmo Albimonte, siciliani, Miale da Troia Riccio da Parma e Fanfulla da Lodi. La sfida, combattuta accanitamente da entrambe le parti, finì con una strepitosa vittoria italiana. La vittoria degli Italiani fu di buon augurio per le armi spagnole, le quali, giunta la primavera, ripresero con successo l'offensiva. Ettore Fieramosca, dopo la vittoria, ebbe il titolo di Conte di Miglionico. Inoltre, il re Ferdinando il Cattolico da Medina del Campo gli conferma i feudi di Migliano Monte Lungo, Rocca d'Evandro, Camino e Camigliano, la gabella nuova di Capua ed altri privilegi fiscali in più riceve la signoria di Acquara.
Il cavaliere capuano, oltre ai privilegi, guadagnò anche un duraturo odioda parte dei francesi tant'è che quando questi ultimi, nel 1805, occuparono il Napoletano, distrussero il monumento che, a Barletta, ricordava la vittoria degli Italiani. Il monumento che fu poi restaurato nel 1846. Fieramosca, comunque, continua la sua attività di condottiero e, sempre nel 1503, rientra in Capua con 500 cavalli e scaccia i francesi di Ivo di Allègre e di Antonello da San Severino, inoltre, nella valle del Garigliano, riconquista Rocca d'Evandro e Camino, occupate da Federico di Monforte. Nel 1507, con la pace di Blois, è costretto a restituire Rocca d'Evandro e Camino al Monforte, la contea di Miglionico al principe di Bisignano Bernardino da San Severino; in cambio gli viene proposta la signoria di Civitella del Tronto negli Abruzzi. Ettore non accetta e viene imprigionato dal re di Spagna. Alla fine, comunque, cede ricevendo a titolo di compensazione per i beni perduti 600 ducati. In seguito, per necessità e costretto a vendere Camigliano. Dice la leggenda che fosse caduto in disgrazia per aver amato la figlia del re e che, imprigionato, fosse stato poi liberato per intercessione di lei e mandato in esilio.
Nel 1510, cerca di passare al soldo dei veneziani ma le trattative falliscono per le sue richieste ritenute esose (chiede una condotta di 100 uomini d'arme e di 100 cavalli leggeri nonché il comando dell'artiglieria ed una compagnia di 150 cavalli leggeri per i due fratelli Guido e Cesare).
Nel 1514 si trasferisce in Spagna dove, a Valladolid, nel gennaio del 12505 muore.
Delle spoglie mortali di Ettore Fieramosca non si hanno tracce. Nell'abbazia di Montecassino, a destra dell'altare maggiore, Isabella Castriota, vedova di Guido, aveva fatto erigere un sepolcro monumentale degno del marito, morto nel 1532, condottiero e capitano, che ne perpetuasse il ricordo e nel quale fosse anch'essa sepolta dopo la morte, che avvenne quattordici anni più tardi ed è in questa tomba che, per molto tempo, si è creduto che fosse sepolto Ettore.
Conte di Miglionico: 2 novembre 1487
Questo personaggio nobilita il Castello di Miglionico e lo rende valido per quei duri tempi di sollevazione contro i francesi invasori chiamati dal Papa. Sotto la signoria del Fieramosca la vita del feudo diventò prospera e il nome divenne celebre. Dopo il fatto d'armi di Barletta tra Francesi ed Italiani capitanati da E. Fieramosca, a « quest'ultimo uscito coi segni di vittoria dal campo della disfida, fu concesso il titolo di Conte di Miglionico ». L'Enciclopedia Treccani voce Barletta dice: « Ettore Fieramosca ebbe conferma dei suoi feudi ed il titolo di Conte di Miglionico »... Ad Ettore Fieramosca fu dato sul campo, in aggiunta ai titoli nobiliari e feudali della famiglia, il titolo di Conte di Miglionico e Signore di Acquara. Fu veramente conte di Miglionico il Fieramosca e ritenne il « feudo come prediletto »? Nel restauro della Civica Chiesa « S. Maria delle Grazie », di recente nel 1972, venne alla luce un bellissimo affresco attribuito da studiosi della storia locale e dalla soprintendenza alle belle arti, al periodo del sec. XV: raffigura da una parte un corteo con clero (vescovo-sacerdoti-religiosi-congreghe, ecc. con insegne religiose) autorità e popolo che incedono in processione verso l'immagine gloriosa della Vergine (rimasta solo in parte perché al centro dell'affresco nel 1800 vi fu aperto un finestrone) e dall'altra parte il Signore con la corte e le schiere di soldati che alzano le armi verso la Vergine: sopra un cartiglio con diciture di gratitudine del popolo miglionichese e del feudatario che viene distinto dallo stemma del Fieramosca. Ugualmente altri due stemmi sono collocati in detta Chiesa Civica sotto l'affresco della Natività di Maria e sulla vela delle campane. Ma ancora come se non bastasse viene fatta risalire all'eroe di Barletta la dotazione di alcune terre in località « Porticella di Pomarico » in agro di Miglionico alla « B. V. Maria delle Grazie » perché la « festa sia la principale » non solo nell'abitato, ma anche in agro. Le due feste vengono sempre celebrate: una il giorno 8 settembre: Natività di Maria SS.ma e l'altra la 3° domenica di settembre. Tutti gli atti medievali e meno parlano sempre di detta iniziativa come dovuta al Conte di Miglionico Ettore Fieramosca. Perfino il vecchio « pallio » della Congrega di S. Maria delle Grazie, conservato dal Parroco, porta nel rovescio lo stemma di E. Fieramosca, come si trova nella « Cantina della Disfida » a Barletta. Nel centro storico da molti anni c'è una via dedicata ad E. Fieramosca, come c'è quella dedicata al Re Milone. Urbano II fu anche ospite del Castello di Miglionico nel 1092, quando si recò a Matera.
Ettore Fieramosca dopo la vittoria alla Disfida di Barletta si acquistò titolo per Viceré di Salerno, Conte di Miglionico e Signore dell'Acquara. A Miglionico, oltre d'avere illustrato la posizione strategica del Castello elevandone le mura e la merlatura, ha lasciato larga traccia nella vita civica istituendo e finanziando la Festa della « Madonna delle Grazie » e della Porticella (in concorrenza con la Puglia da dove proveniva!) dotando la Chiesetta Urbana di belle pitture e di pregiati affreschi, distinti dallo stemma familiare: il più completo ed ancora leggibile è La Natività di Maria Ss.ma del Sodoma, celebre per avere affrescate le stanze Vaticane; oltre che sul bronzo della Campanella, ancora appesa alla piccola vela del tempio votivo. Sul fondo sopra l'arco d'ingresso della porta vi è affrescato in stile secentesco, bello, l'offerta da parte dell'autorità ecclesiastica e di tutta la popolazione, con il Barone, della Comunità alla Madonna delle Grazie: particolare il capo ecclesiastico era Vescovo e vicino « l'abbas » greco. Detta Festa durava 7 giorni: l'ottava della festa veniva celebrata in campagna in località detta « Porticella di Pomarico » oppure « Porticella delle Grazie » (da distinguere da « Porticella di Matera » all'attuale altezza della Chiesa Rupestre del Peccato Originale alla Gravina).
Visita virtuale del Castello
foto: Raffaele Battilomo
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I tuoi eventi all'interno del castello
All'interno del Castello del Malconsiglio, è possibile organizzare eventi e celebrazioni, compatibilmente con le esigenze storiche del maniero e degli eventi in calendario organizzati dall'Amministrazione Comunale.
Concerti, manifestazioni teatrali e spettacoli dal vivo
Concerti, manifestazioni teatrali e spettacoli dal vivo, nella corte del castello, sono lo scenario più suggestivo per questo tipo di evento. L'acustica della corte è l'ambiente ideale per i concerti di musica classica e rappresentazioni teatrali.
Convegni, meetings e seminari
L'Auditorium del Castello è attrezzato per convegni, meetings e seminari. In dotazione ci sono comode poltroncine con poggia blocco notes per consentire ai partecipanti di prendere appunti. E' fornito di impianto audio video di qualità consentendo l'uso delle teconologie informatiche per presentazioni su grande schermo ed è acusticamente trattato per evitare echi e rimbombi.
Cerimonie - celebrazioni
La location medioevale del Castello del Malconsiglio è l'ideale per cerimonie e celebrazioni.
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Un grazie particolare a Raffaele Battilomo per la preziosa e fattiva collaborazione.
Ferrante e il processo contro i baroni: le deposizioni degli imputati conservate all’Archivio di Stato di Mantova
di Lina Marzotti
Nel Fondo Gonzaga dell'Archivio di Stato di Mantova si trova una copia manoscritta del processo informativo cui furono sottoposti nel 1487 i baroni che congiurarono contro Ferdinando d'Aragona re di Napoli, alleandosi con papa Innocenzo VIII. I maggiori feudatari del regno e detentori delle principali cariche politiche consideravano una minaccia per la loro autorità ed autonomia la politica di Ferrante che mirava ad allargare i gruppi dirigenti dalla nobiltà di spada alla nobiltà di toga, cooptando in questo modo nuove energie culturali e commerciali.
I ribelli che non riuscirono a mettersi in salvo – Carlo Sanseverino conte di Mileto, Geronimo Sanseverino principe di Bisignano, Barnaba Sanseverino conte di Lauria, Pirro del Balzo principe di Altamura, Angliberto dal Balzo duca di Nardò, ed i loro più stretti collaboratori – vennero catturati tra il maggio ed il giugno del 1487, rinchiusi nelle prigioni del Castel Novo e sottoposti ad un rigido interrogatorio. Le loro deposizioni tuttavia non servirono mai a giudicare gli imputati ed i reati da loro commessi, ma a giustificare l'operato del re di Napoli di fronte ai governi europei, poiché l'arresto dei baroni venne utilizzato in modo strumentale dal papa per ridurre Ferrante – che, come suo padre Alfonso, non voleva pagare il censo dovuto alla Chiesa – alla giusta obbedienza: Innocenzo VIII tentava ancora di far valere i propri diritti feudali sul regno di Napoli.
Ferrante avviò una programmatica opera di propaganda a giustificazione del suo operato. Consegnò agli ambasciatori presenti alla sua corte copia delle singole deposizioni già nel luglio del 1487 ed in agosto inviò copie dell'intero processo informativo al papa ed agli altri regnanti italiani, come si evince dalla corrispondenza del Bendedei col duca di Ferrara (G. Paladino, ASPN, 1923), da quella del Castiglione con il duca di Milano (in parte inedita ed oggetto di una mia analisi) e dalla corrispondenza del re Ferdinando con Giovanni Albino, suo ambasciatore presso la corte pontificia (Giovanni Albino, Lettere, istruzioni ed altre memorie dei re Aragonesi, a cura di Ottavio Albino, Gravier, Napoli, 1769). Gli atti di questo processo informativo, come quelli del processo intentato contro i segretari del re, Antonello Petrucci e Francesco Coppola, vennero stampati da Francesco del Tuppo nel 1487 e nel 1488, per ordine di Ferrante: entrambe le edizioni divennero subito rarissime, tanto che nel XIX secolo ne erano note solo due copie, che furono ripubblicate da Stanislao D'Aloe nel 1859.
Nonostante questa importante opera di riproduzione e questa larghissima diffusione, il documento proveniente dall'Archivio di Mantova (Archivio Gonzaga – Dipartimento affari esteri: Napoli e Sicilia), oggetto della mia tesi di laurea, a tutt'oggi è l'unica copia manoscritta conosciuta del processo del 1487. Si tratta di un documento inedito già segnalato da Ernesto Pontieri in una breve nota in un saggio su Camillo Porzio (ASPN, 1957-1958), dove si dice pure di un altro manoscritto, analogo a quello mantovano, conservato nella Biblioteca nazionale di Madrid.
Il manoscritto mantovano, molto ben conservato, è composto da 109 carte numerate sul recto, cui vanno aggiunti due ulteriori fogli non numerati: il primo, scritto sul recto e sul verso, contiene la lettera testimoniale del maestro giustiziario del regno, Antonio d'Aragona Piccolomini, scritta dal mastro d'atti Giovanni Paolo Cetta e sottoscritta anche da Nicola Martino, Bardo di Falco e Angelo Starano, notai della Magna curia della vicaria di Napoli; l'ultimo foglio contiene la nota autografa del mastro d'atti Angelo Cipha che certifica di aver verificato la copia sull'originale. La realizzazione della copia avvenne parallelamente alla conduzione degli interrogatori o subito dopo, poiché la lettera testimoniale, scritta a Napoli nella Magna curia della vicaria, è datata 3 agosto 1487. In calce alla lettera testimoniale si trova il sigillo aderente in cera con i tipi araldici di Ferdinando (circolare inquartato: al 1° ed al 3° coi tipi d'Aragona, al 2° e al 4° coi tipi di Napoli e Gerusalemme); in calce alla nota del mastrodatti Cipha si trova invece un signum tabellionis rappresentante un gonfalone inquartato in decusse, sormontato da una piccola croce. La lingua usata dai funzionari della curia è il latino, quella degli imputati il volgare napoletano del quattrocento.
Esiste una tradizione storiografica consolidata che, a partire da Machiavelli e Guicciardini, ha rintracciato le origini dello stato moderno nell'Italia dei comuni e delle signorie, dove per la prima volta si sarebbe assistito ad un tipo di organizzazione pratica della vita pubblica, che sarebbe servito di base agli stati rinascimentali, senza fornire però degli esempi istituzionali validi anche per gli stati monarchici. Nello scorso secolo questa tesi, abbracciata da illustri studiosi, come il Burckhardt, venne poi affrontata criticamente e superata da studiosi come Näf, Hartung, Mousnier e Gilmore, che individuarono nella Francia e nella Spagna del XV secolo i modelli che meglio di altri mostrano le fasi della transizione da uno stato feudale ad uno stato monarchico di tipo moderno, accentratore e assolutista, fenomeno che in tempi diversi ha interessato tutta la società europea e costituisce quindi uno degli elementi chiave per cogliere l'unitarietà di una storia di cui l'Europa Unita ha certamente bisogno per ritrovare e ricostruire una memoria comune.
La Spagna, in particolare, non essendo stata soggetta ad una struttura politico-sociale di tipo feudale, si mostrò sin da subito come luogo d'incubazione ideale per nuove forme di governo "statale". Un altro esempio lo abbiamo, in epoca anteriore ed in circostanze diverse, nella Sicilia di Federico II, teatro di un'organizzazione politico-amministrativa di tipo centralizzato, in cui entravano in gioco, per le loro abilità tecniche e teorico-pratiche, membri di strati sociali normalmente esclusi dai luoghi del potere.
Il Regno di Napoli resta nell'ombra.
Teatro di contese feudali sin dalla sua formazione, oggetto di scambio sin dagli albori dell'età moderna (nella sua periodizzazione più comune, 1492-1815), quando il trattato di Granada tra Luigi XII e Ferdinando d'Aragona ne sancì la spartizione tra la Francia e la Spagna, il Regno di Napoli non sembrerebbe poter essere preso in considerazione come luogo d'osservazione della difficile transizione dallo stato monarchico medievale allo stato moderno. Eppure, nel cinquantennio che segue la pace di Lodi, Napoli diviene la protagonista di un mutamento radicale della monarchia e dello stato, che la porterà a svolgere un ruolo attivo e preponderante sulla ribalta della scena politica internazionale del Rinascimento.
La politica di Ferdinando I di Napoli è il motore di questo cambiamento: una politica volta anzitutto all'accentramento politico e amministrativo attorno alla capitale ed al rinnovo della classe dirigente, i cui esponenti vengono scelti non più all'interno del baronaggio, ma tra le file della nobiltà napoletana, per la loro preparazione e le loro abilità tecniche e non in virtù di vincoli feudali; una politica che portò il papa ed i baroni – l'uno timoroso di un vicino potente che non accettasse di sottomettersi all'autorità temporale della Chiesa, gli altri attaccati ai propri privilegi feudali – ad un'opposizione tremenda. Una politica che mirava a trasformare Napoli da città feudale, possesso del re, a città capitale del Regno: privilegio questo che faceva nascere nei napoletani un sentimento nuovo, "proto-nazionale" (Maravall, 1971), un senso della comunità che li legava saldamente al re.
Ferrante, il re dei napoletani, dovette giocare una partita durissima al tavolo della diplomazia internazionale per riuscire ad ottenere il dovuto riconoscimento per sé e per il proprio regno. Costantemente minacciato dalle velleità di conquista della Francia all'esterno ed indebolito dall'infedeltà dei baroni all'interno, innovatore straordinario in un mondo che cercava con tutte le sue forze di restare ancorato ad un medioevo cavalleresco e feudale, osteggiato dal papa Innocenzo VIII che nel mantenimento di quel mondo e di quella cultura vedeva la garanzia del suo potere temporale e la sicurezza della compagine statale che di fatto stava originandosi attorno alla Chiesa, coinvolto nel difficile gioco di equilibri in cui rientravano anche Firenze e la Serenissima, Ferrante trovava l'appoggio incondizionato dei re Cattolici, che avevano ricercato – nel popolo unito dalla fedeltà allo stesso sovrano, nell'uniformità di lingua e di cultura e nella chiusura del territorio soggetto alla monarchia entro i propri confini naturali – le basi del moderno stato sorto in Spagna durante il loro regno.